Let the music play

A volte capita che le cose prendano un piega inaspettata e per qualche ragione ti diano possibilità che neppure immagini. Tutto ciò che fino ad ora è stato importante per me, si è sempre presentato alla mia porta come un refolo leggero. Un soffio appena percettibile ma capace di alimentare un fuoco vivace fino a farlo diventare una vampa di passione. Ricordo perfettamente il momento in cui ho imbracciato la prima chitarra, un vecchio arnese di legno a sei corde retaggio di chissà quale intento di mio padre. La tenevo come dovesse esplodermi tra le mani da un momento all’altro, ne avevo quasi timore. Il fatto è che fino al giorno prima avevo scimmiottato Michael J. Fox che improvvisa “Jhonny B. Goode” di Chuck Berry in “Ritorno al futuro” sostituendo la sua Gibson 335 Cherry meravigliosa con una racchetta da tennis. A cinque anni non avrei saputo fare di meglio. La musica era entrata in casa mia spacciandosi per una racchetta, trasformandosi in un vecchio arnese e diventando finalmente se stessa. Ho studiato per anni e lei mi ha mostrato il suo volto più duro e crudele, quello più istituzionale e polveroso, fatto di moquette e parrucconi, mezzi busti e dogmi da non mettere mai in discussione, quello del Conservatorio, insomma. Nonostante io e lei avessimo avuto un periodo travagliato, ho capito che le sue intenzioni erano buone e che i presunti custodi dell’arte di Euterpe, in realtà altri non erano che vecchi tromboni scordati e frustrati. Ci siamo frequentati di nascosto, quasi clandestini. La cercavo in programmi radiofonici notturni che nessuno ascoltava, la leggevo attraverso le vite di chi le aveva dedicato l’anima e il corpo, vendendosi al diavolo per un assolo fatto a mestiere. Finché un giorno ho sentito battere il suo cuore: cassa-rullante-cassacassa-rullante. Bentornata. Il soffio leggero che aveva tenuto su le mie mani, adesso mi soffiava forte e schietto sulla faccia. Bruciammo di passione senza che me ne rendessi conto. Non ho più voluto fare altro che seguire quel battito ed incastrarci su parole a misura. Niente pause, niente soste. Lei non gradisce interferenze ed esige di essere l’unico pensiero dalla sveglia ai sogni. Ci siamo presi, ripresi, ripresi ancora, ma mai lasciati. Ogni volta che salivo su un palco lei si mischiava tra la folla e mi insegnava a regalare emozioni, ogni volta che ci chiudevamo in studio per registrare, mi costringeva a fare i conti con le mie. Ero nudo di fronte a lei ma mai fragile o in imbarazzo. Credo lo sapesse perfettamente e non si è mai presa gioco di me.

L’altro giorno l’ho incontrata, per caso. Un amico mi ha chiesto di passare a trovarlo in radio per fare una chiacchierata durante il suo programma e magari far conoscere questo blog. Era lì. Bellissima. Vestita di blu e di bianco. Appoggiata alle pareti rivestite di spugna chiodata. Un cenno dalla regia, i saluti di circostanza e un’ora trascorsa a raccontarmi e a dirle cosa ho fatto mentre era lontana. Ascoltare le voci in cuffia e scegliere i pezzi da passare, raccontarsi e raccontare, dare tanto e ricevere esponenzialmente di più, forse era il modo giusto per ritrovarsi. Sono uscito sistemandomi la giacca, lei ha accennato un sorriso e mi ha accarezzato le guance calde. Forse ci rivedremo presto, magari in radio, ha visto i miei occhi brillare e sa che la amo ancora.

SKID

microfono

4 comments

  1. Arianna · marzo 3, 2016

    E l’ amore guardò il tempo e rise, perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare.
    Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva.
    Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito,
    il tempo moriva e lui restava.

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